In questo tempo sospeso tra ansie e speranze, attese e delusioni, trova spazio la voglia di mettere ordine, nei pensieri e negli armadi. E lì, sul fondo dell’armadio riorganizzato, c’è in bella vista il mio camice di volontaria, lavato, stirato e piegato, in attesa di essere reindossato e riutilizzato. E il pensiero va al recente passato di normalità, fatto di quotidianità, di incontri, colloqui, confidenze sussurrate, amarezze, speranze e tristezze condivise, di racconti di vita, di improvvisi scatti umorali, di considerazioni senza speranza, di abbracci. Tutto bruscamente interrotto da una pandemia che ci ha cambiato la vita e ci tiene lontani dai nostri amici fragili, proprio nel periodo più buio. E viene spontaneo chiedersi come stiano vivendo la nostra assenza, se manchiamo loro, se ci aspettano ancora, se ci rimprovereranno. O se ci hanno dimenticato. E anche noi, privati del rito delle visite in ospedale, ci sentiamo allontanati, separati, privati dell’apporto della loro umanità. Ma verranno tempi migliori, in cui tornare lentamente a riappropriarci della nostra funzione e soprattutto dell’entusiasmo, decisamente scemato negli ultimi tempi. Non ci è dato ancora sapere quando, ma spero presto e nell’attesa prepariamoci ai nuovi abbracci, agli incontri, alla vita da rimettere in sesto, ai contatti interrotti, che tanto ci mancano ora. E in questa prospettiva mi piace ricordare la frase di Neruda, che ci lascia ben sperare: “Potranno recidere tutti i fiori, non potranno impedire alla primavera di arrivare”.

Chiara Palmisano

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