Mettermi a disposizione di chi ha bisogno, imparare ad ascoltare i loro problemi, i loro disagi, le loro sofferenze, i loro pensieri. Sono queste le motivazioni che mi hanno spinta a intraprendere questo percorso. Un percorso carico di emozioni che, pur essendo iniziato soltanto da qualche giorno, mi ha già insegnato a riporre fiducia nel rapporto interpersonale a credere nella parola “aiuto”. Tra le corsie dei reparti ho imparato che un sorriso e una parola di conforto a volte riescono a colmare il silenzio della sofferenza, che ogni  malato ha una storia personale diversa da tutte le altre e che un approccio solidale, ma emotivamente distaccato, è l’unico criterio per far del bene.

In questi giorni ho imparato che dovrò fare i conti con la sfiducia dei parenti del malato, con lo sconforto e spesso la diffidenza. Superare questa barriera invisibile, spesso sarà difficile ma non impossibile. Dalla mia parte avrò la voglia, il desiderio incondizionato di rendermi utile, di regalare momenti di distrazione e serenità a chi è costretto in un letto di ospedale.

Sarà bello, dopo tanta fatica, riuscire, ad esempio, a strappare un sorriso ad un bambino e vedere il suo interesse, nuovo e inconsueto, alle attività ludiche. Sarà bello prendere la mano di una donna o di un uomo malato e chiacchierare del più e del meno per riuscire a scavalcare il varco della sofferenza e tornare a vivere la quotidianità anche solo un attimo con l’aiuto della fantasia. Se sarò in grado di essere d’aiuto e di fare del bene sarà grazie ai consigli ed alle procedure imparate nell’ambito del percorso formativo appena terminato. In questa bella avventura ho messo in gioco la mia inesauribile volontà, la mia ferma intenzione e il mio coraggio con la speranza di riuscire a cambiare la mia vita e quella di chi ha bisogno.

Michela Guerra

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