Oggi ho iniziato il tirocinio nel reparto di ematologia dell’ospedale oncologico Giovanni Paolo II di Bari, insieme alla mia tutor Maria Teresa, una donna con i capelli bianchi che fa volontariato in questo ospedale da oltre dieci anni.
Siamo stati da un paziente abbastanza giovane e attivo, che passava il tempo con un ipad.
A un certo punto, preso dall’imbarazzo della mia presenza non richiesta, devo aver detto una delle solite frasi di circostanza e di consolazione sulla vita e lui ha reagito in modo netto, dicendomi che no, non voleva sentire quelle cose, che per lui non avevano alcun senso, spiegandomi che la sua unica domanda era:
Ho passato la mia vita curando attentamente la salute e l’alimentazione, non ho fatto eccessi, sono ancora abbastanza giovane. Nonostante tutto ciò, perché ora questa malattia, perché proprio a me, che pure non avevo fatto niente per cercarmela?
Perché proprio a me?
Questa, la solita domanda sentita tante altre volte, come mi è sembrata diversa oggi, detta da un uomo su un letto di ospedale e l’ipad tra le mani, che mi guardava negli occhi!
Sono rimasto senza parole.
Alcuni pazienti, arrotolati su loro stessi, sembrano non volere vivere ma, se il dialogo inizia con il paziente del letto accanto o con un parente, allora iniziano a girarsi e cominciano a partecipare, per diventare poi protagonisti: il desiderio della vita, momentaneamente sopito, li richiama poi fortemente.
Abbiamo incontrato anche una coppia di anziani di Molfetta, il paziente era lui, disteso di lato e la mia collega Maria Teresa ha iniziato a parlare con la moglie, una donna che deve essere stata bella, bionda e con gli occhi chiari e vivissimi, che diceva di avere accettato e affrontato tante cose nella vita e che avrebbero vissuto anche questo, per poi andare avanti. Lui ha iniziato allora a coinvolgersi, sorridendo sempre più, chiamandomi “dottore” e parlando del suo lavoro di capo squadra nei cantieri. Li abbiamo lasciati molto contenti di avere parlato con noi.
Mi ha molto colpito il caso di una ragazza, avrà avuto poco più di trenta anni, che non voleva partecipare perché impegnata con il computer sulle gambe a dover finire di lavorare, ma che poi si è coinvolta in pieno. Lavora con il sistema del telelavoro e non ha detto a nessuno dei suoi capi che ha il cancro, perché ha paura di essere penalizzata e ha il mutuo della casa da pagare! Stava lì sul letto, con gli occhi lucidi e i segni dell’ospedale sul corpo, con i bei riccioli bruni e la preoccupazione per il compagno che doveva portare il gatto dal veterinario! Poi mentre parlava, si interrompeva, digitava qualcosa sul computer per un po’ e poi riprendeva , perché doveva continuare fino alle 18 e doveva farlo altrimenti dalla sede se ne sarebbero accorti che non stava lavorando bene. Quanta voglia di combattere e di vivere! E noi che invece ci lamentiamo a volte dei nostri piccoli problemi di lavoro e della ingiustizia di quel collega e di quel superiore insopportabile e tutto ci sembra così fondamentale tanto da condizionare il nostro umore e il nostro comportamento e ci fa dimenticare che tutto è grazia!
Quanta vita e quanto desiderio di vita sono nascosti in un ospedale e aspettano di essere incontrati per diventare più veri!
Ninni Colonna
Istituto Oncologico Giovanni Paolo II