Konnichiwa (ciao) sono Akoya, un’ostrea (ostrica) del Mar del Giappone e vorrei raccontarvi una storia. Tanti secoli fa, quando ancora mi aprivo alla vita, fui ferita da un granello di sabbia. Il dolore diventava insopportabile, e in fondo al mare non ci sono ospedali. Mi venne un’idea. Cominciai a secernere una sostanza liscia, bianca, con riflessi iridescenti, che voi chiamate madreperla, in cui racchiudere l’intruso. Immaginate la meraviglia quando, nel “tessere la tela”, mi accorsi che il dolore si trasformava in gioia e che strato su strato, velo su velo, si affacciava alla vita una piccola perla. Sapete che cos’è una perla? E’ una pallina di cristalli di carbonato di calcio (aragonite) levigati come uno specchio e luccicanti come il diamante. Ciascun cristallo è disposto in modo tale che la luce, attraversandolo, si rifletta sugli altri dando luogo a straordinarie venature di colore. La nascita di una perla è un fatto magico, si nutre di miti, di leggende: c’era, non c’era, non qui non altrove… Va da sé che alla nuova venuta donai tutto il mio amore. Nelle notti d’estate, quando la luna si specchiava nelle acque di Hanshu (un’isola del Mar del Giappone), la cullavo, l’accarezzavo…, le elevavo il mio canto: “Dal dolor fecondata al par d’Afrodite dimmi o perla: venisti dal mare o dalla luna? Oh essenza divina…, goccia d’acqua caduta dal cielo. T’ammantasti di luce come i gigli di En Gedi, come i narcisi di Sharon. Tu sei gioia, mistero, rendi vani i malefici. Di te cosparse l’urne antiche, di te ornati i colli eburnei te pentacolo, amuleto, talismano… Quando Zeus foggiò l’uomo, Demetra gli donò il grano, Efesto il fuoco, Venere l’amore di cui tu sei, o figlia cara, l’esatta immago. Poi Caino uccise Abele, la luna s’adontò e fu discordia. Solo tu rimanesti, fiduciosa e innocente, ad attendere il Re: perché sei nata per stupire, per amare, per effondere luce”. Solo un’ostrica ferita poteva concepir tanta bellezza che, ricordo, è figlia del dolore. Chi di noi non ha sofferto? Siamo stati umiliati, traditi, derisi ma è da queste ferite che nasce l’amore. Si possono commettere i delitti più efferati ma non c’è uomo che Amor non salvi. Quanto al dolore, un filosofo diceva: “Colui che soffre o giunge alla disperazione, deve poter seguire nel segreto di sé una certezza: che il momento della tenebra prelude il rivelarsi di una zona luminosa della sua esperienza terrena”. Certo i tempi sono inquieti, ma è in questi momenti che vien fuori l’uomo. Tanto più che: “Ogni esistenza converge a un qualche centro Dichiarato o taciuto; si annida, in ogni essere umano, una meta talvolta pure inconfessata, tanto bella che pare troppo ardimento osare conquistarla. Cautamente adorata, come un fragile cielo; raggiungerla sarebbe impresa disperata, come toccare le vesti dell’arcobaleno, Ma quanto più remota, più sicura se perseguita, come alto alla lenta pazienza dei santi appare il cielo. Forse la umile avventura di una vita non la raggiungerà ma allora si potrà ritentare l’impresa nell’Eternità (Emily Dickinson, Poesie, trad. di M. Guidacci, BUR 1979, p. 217).
Conviene trovarlo questo Centro, anche al prezzo di un dolore perché, se ne comprendi il senso, puoi trasformarti in perla.
Sergio Ricciuti