Il mercoledì per me è giorno di riflessioni. Sì, perché il mercoledì sono di turno in Ospedale e sistematicamente m’interrogo, lungo il tragitto, su come sarà la mia giornata: se ne uscirò gratificata o delusa, soddisfatta di aver trovato le parole giuste o arrabbiata per aver detto qualcosa che avrei fatto bene a tacere.
Ci sono giorni nei quali anche il sorriso, con cui di solito mi presento in corsia, può risultare inopportuno o sgradito e trovare la giusta modalità per porgerlo è arduo.
Ogni settimana incontro malati diversi, o malati che già conosco che attraversano una diversa fase della malattia o hanno ricevuto nuovi referti, e talvolta basta poco per capire se la situazione è migliorata o peggiorata, e allora occorre valutare se l’incoraggiamento o l’ottimismo possa suonare falso e fuori luogo, se sia più opportuno offrire una spalla di appoggio lasciando che esprimano la loro amarezza, rimanendo in silenzio. Ho imparato che non serve invitare chi piange a non farlo, è più utile rispettare le sue lacrime, ho imparato che chi è arrabbiato ha bisogno di esternare la sua rabbia contro il destino, i medici incapaci, i volontari inutili, che non possono capire.
Penso, rifletto, mi preparo, ma quando varco la soglia delle stanze di degenza, capisco che sono loro, i pazienti, che mi suggeriscono a parole o in silenzio, con l’espressione o la postura, che cosa si aspettano che io dica o faccia, e allora tutto diventa più facile, anche andar via lasciandoli riposare. Ma quando vengo riconosciuta e accolta con il sorriso o mi sento dire, al momento del commiato:” Grazie, torni a trovarmi, è così piacevole parlare con lei!” capisco che quella è stata proprio una giornata proficua, che ha dato senso alla mia azione di volontariato, non sono stata inutile.

CHIARA PALMISANO

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