Lettere dal Ténéré di Paolo Lopane, Falvision Editore, Bari, maggio 2018

Informata da un amico, che mi segnala la presentazione del libro di Paolo Lopane, alle 18,30 di domenica 28 ottobre, nella sala consiliare di Bitetto, ci vado volentieri. L’entusiasmo del mio amico è contagioso e del resto, come dice lui, cosa saremmo senza entusiasmo? Non saremmo che ombre.
La sala è affollata, c’è l’autore, il Sindaco (una donna giovane e “solare”), ci sono Maria Giaquinto e Giuseppe De Trizio, una cantante ed uno strumentista conoscitori di musica araba; la loro performance è perfetta, crea l’atmosfera giusta per gustare letture di brani del testo e la presentazione, che introduce alla lettura.
Ci sono volumi in vendita: ne compro uno e, una volta a casa, lo lascio sul comodino in attesa che, terminata una lettura in corso, arrivi il suo “turno”, ma subito mi pento di avere aspettato a leggerlo.
E’ un libro denso, il racconto magico di una viaggio che rappresenta la ricerca da parte del protagonista della propria Anima e simboleggia questa ricerca: i rimandi nietzschiani e junghiani sono il retrogusto affascinante, a volte esplicito, della lettura; il testo ha uno spessore culturale che l’autore non maschera, ed è sempre intrigante, anche se resta flessibile a diversi livelli di fruizione.
Le lettere a Corinne che si succedono, datate dal 14 Luglio 2014 all’11 settembre, sono il racconto (e non solo) di un viaggio nella regione del Ténéré: il cui valore simbolico, per altro frequentemente alluso, si chiarisce sempre più diffusamente man mano che si procede nella lettura. E’ bene assimilato nel contesto, armonico e godibile.
Chi è Corinne? Un risvolto biografico leggibile in filigrana ed esplicitato nella lettera del 5 settembre?
Ma anche così come appare in tutto il libro, personaggio sospeso, accennato, resta il fil rouge che  fa da collante a tutta la scrittura, ed è difficile non scorgerne il valore simbolico come nel personaggio di Eleonor, di una bellezza magnetica, algida e luciferina, l’antitesi di Corinne o in in quello di Rah’el, la ragazza israeliana che Adrien, il protagonista, incontra in un caffè, nel quartiere yemenita di Tel Aviv.
E poi c’è la magia del viaggio, i suoni e i profumi della sabbia, il ghibli, il “canto” delle dune, (la “ sabbia urlante”, come dicono gli arabi), il velo ed il mantello tuaregh, i dromedari, i tramonti, l’ora dell’azzurra stella della sera, la “Stella  del Domani” come la chiama il popolo sahariano.
E l’acacia secolare, punto di riferimento della Carovana del sole, le donne Tuaregh, belle come Kadidja, “solenne e arcaica”, la pelle dorata, il corpo snello e ben fatto, esperta nell’arte della divinazione, capace di leggere le tracce di uno scarabeo, ma anche custode di una tradizione antica.
Così leggiamo nelle pagine di Lopane che le donne Tuaregh non sono sottomesse e non portano mai il velo sul volto, hanno lunghi capelli, insegnano ai figli l’antico alfabeto fenicio, conoscono il valore dei  talismani e li usano come magnifici ornamenti della loro bellezza austera e leggiamo del rituale del tè, delle “dita di luce” (i datteri) che sembrano “gocce d’ambra baciate dal sole”.
Poche annotazioni in margine ad un libro che dà il piacere di una lettura scorrevole ma mai banale, per ringraziare insieme l’autore che le ha scritte e l’amico al quale devo l’indiretta sollecitazione a leggerle.

Marica Camarrone

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