Domenica, 17 novembre 2019, Parco archeologico di Egnazia.

C’è un forte vento di scirocco, qui, stamani. Venezia è sotto l’acqua e l’Italia fa i conti con gli errori del passato: quanti soldi mal spesi, quanti treni perduti per diventare una nazione d’eccellenza nel settore del turismo culturale. Le bellezze ci sono…, basti solo pensare ad Egnazia, “la città costruita sulle acque tempestose” la cui fine è ancora avvolta nel mistero; e poi la Daunia, il Salento, le Murge. Quanta storia, quanta ricchezza…

Apollo ed Eolo baloccano col tempo. Noi invece ci aggiriamo, stupiti e affascinati, tra rovine millenarie: necropoli, santuari, botteghe artigiane. Siamo un gruppo di “Volontari in Ospedale” dell’associazione Bethesda di Bari, siamo in tanti e il tempo stringe. Chissà se riusciremo a vedere il museo… ci hanno detto che nel 2017 è risultato essere tra i migliori d’Italia per chiarezza espositiva e allestimento … Bisognerebbe dedicare più attenzione al passato perché, come qualcuno ha detto, “Il sorriso perenne è assai più difficile da raggiungere che non trovare fra le infinite tombe della terra, un teschio portato in una vita precedente…”.

l viandante che intendesse far sosta ad Egnazia, dedichiamo il seguente cenno storico.
Percorrendo la strada che unisce Monopoli a Torre Canne, a meno di un chilometro da Savelletri, si entra nell’area archeologica di Egnazia. Era la primavera del 37 a.C. quando Gaio Giulio Cesare Ottaviano, nel tentativo di dirimere i contrasti con Antonio, decise di inviare a Brindisi una delegazione diplomatica capeggiata da Mecenate di cui facevan parte anche Orazio e Virgilio. Giunto a Egnazia, il venosino oltrepassò le mura antiche, si arrestò dinanzi al foro e visitò le terme, la basilica, l’ampia piazza porticata. Volle poi vedere il porto che il proconsole di Macedonia, Gaio Ignazio, aveva fatto realizzare per raggiungere la Via Egnatia, l’antica strada che congiungeva l’Adriatico all’Egeo e al Mar Nero. Raggiunta l’acropoli si trattenne ad osservarne il tempio: solenne, maestoso, ispirante armonia. “Costruita sulle acque tempestose – annotò sul suo diario – la città mi offrì motivo di risa e di scherni, poiché volevan farci credere che l’incenso del tempio si consumava senza fiamma”.

Chissà cosa avrà pensato il poeta delle Odi di quel luogo sospeso tra Oriente e Occidente. Ci piace immaginare che lontano da Roma, metropoli caotica e chiassosa, la sua anima si sia potuta rinfrancare. Nulla abbiamo di scritto sulla storia di Egnazia, ma gli scavi condotti sulla sommità dell’acropoli hanno individuato tracce di macine, pestelli, focolari di cottura e grandi orci dell’età del bronzo (II millennio a.C.) appartenuti, forse, a un primo nucleo abitativo. Narra Erodoto che un gruppo di Cretesi, sorpresi da una terribile tempesta approdarono in Puglia, e, affascinati dai luoghi, decisero di rimanere. Ma chi erano questi Cretesi? Per i Greci erano i figli di Japige, figlio del mitico Dedalo, per gli storici erano Illiri, ovvero popoli provenienti dalla penisola balcanica. Furono loro, a quanto pare, a fondare Egnazia.

Uno spirito arcano pregna i resti della città sepolta la cui sorte rimane avvolta nel mistero. Le lapidi raccontano che i Messapi, nel VI secolo a.C., adattarono alla loro lingua l’alfabeto greco eliminando e introducendo nuovi segni e che le donne erano ammesse al sacerdozio di Demetra o di Afrodite. La ricchezza dei corredi funebri testimoniano l’appartenenza delle defunte a gruppi familiari aristocratici emergenti. Agli schiavi e ai mercanti è attribuita invece l’introduzione del culto di Cibele – la Mater Magna adorata ad Eleusi, a Dodona, a Pessinunte – e di Attis, il giovinetto frigio la cui testa, scolpita in un pregiato marmo greco, è esposta nel museo. Molti sono i miti a lui dedicati. Si narra che Cibele, innamoratasi di lui, lo mise a guardia del suo tempio a patto che si conservasse puro; ma il ragazzo tradì la promessa e assalito dai sensi di colpa si evirò. Non meno interessante è la storia di Syrinx (Siringa) la ninfa scolpita nella mano di Attis. La giovinetta passeggiava lungo un fiume quando Pan, vedendola, la rincorse per prenderla. La meschina chiese aiuto al fiume che la mutò in una canna; allora il dio dei pastori ne recise il fusto e vi costruì un flauto a sette fori che, nella lingua greca, è chiamato “syrinx”.

La Tomba delle Melagrane ci dice quanto fosse importante per i nostri antenati la vita oltre la morte. Scoperta durante gli scavi per la costruzione del museo (1971) fu inglobata nelle sue fondazioni. Il sepolcro risale al IV-III secolo a.C. ed è composto da un vestibolo a camera con due battenti monolitici ruotanti su cardini ed una cella funeraria decorata con motivi geometrici e vegetali tra cui le melagrane, frutto aspro-dolce associato alla rinascita e alla vita ultraterrena. Apro e chiudo una parentesi: non è un caso che a novembre, per commemorare i defunti, si preparino dolci con i suoi grani. Il connubio tra Egnazia a la via Traiana ha origini antiche. La strada, realizzata da Traiano nel II sec. d.C. per agevolare le comunicazioni con l’Oriente, era una variante dell’Appia antica che, evitando i monti dauni e puntando verso il mare, consentiva di raggiungere Brindisi con un giorno di anticipo. Fu inaugurata a Benevento il 113 d.C. e, per celebrarne l’evento, fu innalzato un bellissimo arco trionfale. Lasciata la città campana, la strada scendeva verso Aecae (Troia) e attraversava il Tavoliere delle Puglie fino ad Herdonia (Ordona); di qui, superato l’Ofanto, raggiungeva Canusium (Canosa di Puglia), Rubi (Ruvo di Puglia), Butontum (Bitonto), Barium (Bari) e Gnathia (Egnazia). Marco Ulpio Traiano era un abile comunicatore. Lo confermano le pietre miliari disseminate lungo la strada che hanno incisa la scritta: “Traiano…. pecunia sua fecit”.

Pare che i ripetuti fenomeni di bradisismo (abbassamento o innalzamento della crosta terrestre) ed eustatismo (abbassamento o innalzamento del mare), ne abbiano inabissato il porto. Fa un certo effetto, d’estate, osservare la disinvoltura con cui i bagnanti, dopo essersi cosparsi di unguenti, si distendono al sole nelle fosse scavate nel tufo locale. Per chi non lo sapesse, quelle fosse sono tombe e contennero corpi, corredi funebri, unguentari… Al tempo di Costantino il Grande, Egnazia era una città floridissima; il suo porto commerciava con l’Africa e l’Oriente e ospitava un mercato che attirava compratori d’ogni parte. Si trovava di tutto: dall’olio ai cereali, dal vino speziato (mulsum) alla salsa di pesce (garum), dai legumi alle trozzelle, tipiche anfore locali. Ma il 21 luglio del 365 d.C. si scatenò un maremoto che sconvolse l’Egitto, Creta, lo Ionio e il basso Adriatico. L’effetto, dicono i cronisti, fu devastante e provocò la distruzione di moltissime città: da Alessandria a Cirene, da Festos ad Egnazia. Lo storico Ammiano Marcellino racconta che vi furono distruzioni “in tutto il mondo” seguite da guerre, carestie e devastazioni.

Far coincidere a tutti i costi i dati storici ai dati archeologici è sbagliato. Di fatto, però, le ricerche condotte negli ultimi anni hanno confermato che il porto di Egnazia s’inabissò nel IV secolo d.C. Fu la fine di un’epoca e di un Impero, quello romano, che aveva imposto al mondo le sue leggi. Non meno affascinante, per gli amanti di fotografia subacquea, è l’Egnazia sommersa. Chi amasse lo snorkeling o avventurarsi nei fondali, troverebbe frammenti anforacei d’ogni genere e il relitto di una nave romana. Non è facile trovarla ma è laggiù, adagiata in un morbido avello di sabbia. Continuando poi a pinneggiare verso nord-ovest, incrocerebbe il molo di ponente che serviva a proteggere le navi dal maestrale; il “muraglione”, tratto residuo delle mura messapiche, e quel che resta della Minucia, l’antica strada menzionata da Strabone.

Sergio Ricciuti

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